Al Bano, la sua Puglia e il sogno nel cassetto

Da un incontro casuale è nata questa intervista attraverso cui Al Bano racconta come ha promosso la Puglia nel mondo e non solo.

Al Bano è stato il primo promoter della Puglia. Cosa raccontava del territorio a chi non sapeva neanche dove fosse questa regione?
Raccontavo tutto quello che sapevo, ma soprattutto dovevo disegnare dove era la Puglia. La Puglia lontana da Napoli, lontana Palermo; spiegavo. Disegnavo Bari, Lecce, Brindisi, la città di Taranto, Santa Maria di Leuca. Insomma: ho raccontato parecchio della Puglia. Lo posso dire? Penso di avere fatto tanta pubblicità alla Puglia che si è visto il risultato.

E a chi spiegava dove fosse la Puglia che reazione aveva?

Volevano sapere come si arrivava. Se c’erano gli aeroporti. Venivo contattato per interviste da tv tedesche, coreane, russe, spagnole, giapponesi e io accettavo, ma a condizione che venissero in Puglia. Loro mi accontentavano e finivano per fare servizi a iosa.

Che significato ha la terra rossa di Puglia per Al Bano?

La terra è bella. Ci sono tanti colori di terre, ma quella rossa mi dà la sensazione della forza. La definirei “Terra di Puglia bruciata”.

Una terra feconda anche di talenti?  

Di talenti e di elementi che ci aiutano a vivere

Nella vita Al Bano ha viaggiato tanto. C’è un posto, in particolare, che le ha ricordato il nostro mare?

Non c’è nessun mare che mi ricordi la Puglia. Il mare della Puglia, secondo me, è unico: vuoi per il colore, vuoi per i riflessi del sole, vuoi per il non inquinamento. Il nostro mare è fantastico.

Bello come il mare dei Caraibi?
E’ un altro tipo di bellezza e poi in Puglia non ci sono i pescecani.

Quali sono le città, i luoghi di Puglia, in cui Al Bano si sente a casa? Quelli che consiglia di visitare a chi le chiede della Puglia?

Secondo me gli antichi avevano ragione a chiamare questo territorio “le Puglie” perché sono tante le dimensioni in Puglia. Il Gargano, con la Foresta Umbra, con quel mare, con i laghi, le isole Tremiti: mamma che bel sogno. Sono andato a visitare la casa di Lucio Dalla ed è stata una grande emozione. Con il sindaco, Giuseppe Calabrese, avevano parlato e deciso di recuperare il faro dell’isola di Capraia. Un faro malandato per incuria. Parlai col sindaco affinché, a recupero ultimato, fosse chiamato “Il faro di Lucio”. Mi sembrava una idea straordinaria. Un’idea rimasta in stand by dopo la morte del sindaco. Un faro dove, peraltro, non pare ci fosse da spendere molto per gli interventi da fare.

A Cellino San Marco c’è una tomba eneolitica “a forno” rinvenuta, in passato, all’interno del Bosco Li Veli. E’ un reperto archeologico non visitabile perché pare non sia più localizzabile in quanto abbandonata. Le fa rabbia?

Ne ho sentito parlare, ma non ho mai avuto la possibilità di andare o a indagare. Anzi, ora che mi hai riacceso la memoria, ne voglio parlare col sindaco. Tutto ciò che è storia va recuperato rappresentando una grande gioia per i pugliesi e per quanti vengono da fuori.

Le infrastrutture attuali rendono onore al territorio?

Penso di sì. Uno dei quelli che si è mosso, e va sottolineato, è stato Nichi Vendola; ha invitato, tra l’altro, i produttori cinematografici a girare i film in Puglia. Ma bene ha fatto anche Michele Emiliano. Il recente G7 ha rappresentato per la Puglia una vetrina internazionale.

Cosa le fa rabbia pensando alla tutela del patrimonio naturale, artistico e culturale della Puglia? Potremmo fare di più?

In tutti i luoghi potremmo fare di più sì. L’importante è volerlo.

Riguardo all’enogastronomia del territorio, di cosa è ghiotto? C’è un piatto a cui Al Bano non sa resistere?

Uno è insufficiente. Se vai a Santa Maria di Leuca, a Carpino o San Giovanni Rotondo, trovi una infinità di gusti e proposte. Da qui capisci che la Puglia in realtà sono le Puglie.

C’è una ricetta o un piatto che per Al Bano è sinonimo di casa?
Io ricordo sempre i “pizzicarieddi”. A Bari si conoscono le orecchiette. Da noi, i “pizzicarieddi” sono l’equivalente al maschile. Poi io impazzisco per “ciciri e tria” (pasta fritta con i ceci ndr), le cicorielle selvatiche e il purè di fave. Ma anche per le cime di rape, le melanzane, i peperoni. Un elenco che non finisce mai perché ogni stagione ti offre sempre qualcosa di nuovo.

Perché Al Bano ha deciso di produrre vino, peraltro premiato?

La domanda è bella e la risposta la riassumo così: quando decisi di andarmene a Milano, mio padre si arrabbiò con me mio perché perdeva braccia per l’agricoltura. Ma io gli dissi: vado, ma sappi farò successo, tornerò, farò una cantina e il primo vino avrà il tuo nome, Don Carmelo. Nel ’72 la cantina era già pronta e nel ‘73 mio padre aveva in mano la bottiglia col nome. Lo vidi più felice con quella bottiglia in mano rispetto a quando vinsi premi con la mia musica o arrivai a essere il numero uno in classifica. Proprio quando scalai le classifiche mi disse: “Sì… bello, ma è solo una canzone. Il futuro sarà problematico per te”. Mi incoraggiava sempre, ma alla sua maniera. Era un uomo con i piedi ben piantati per terra. Mio padre fece bene a dirmi così perché mi dette la carica.

In cosa sbagliano i genitori di oggi nel rapporto con i figli?

Leggo la cronaca e mi preoccupo.

Cosa non sta funzionando?

Ai tempi della scuola, ricordo che tutto ciò che faceva il maestro era ben fatto. Mia madre e mio padre applaudivano maestri e professori. Oggi se un maestro riprende un bambino arrivano i genitori e lo menano. E’ cambiato il mondo.

Nonostante la cronaca, Al Bano però conserva “Il sole dentro”; titolo del suo nuovo libro. Qui racconta di sé, della sua famiglia. Come si fa a conservare dentro di sé il sole, la luce, a fronte di questo tempo di incertezze, guerra e solitudine soprattutto tra i giovani?

Io ho i miei dieci comandamenti che mi fanno un po’ da guida e, davvero ho il sole dentro. I comandamenti vanno letti uno per uno: onora il padre e la madre, non uccidere, non rubare. Ti indicano quello che dovresti fare per stare in pace con te stesso e con gli altri.

E’ una fede radicata quella di Al Bano?

E’ una fede che mi è stata imposta attraverso il battesimo e poi tutti i sacramenti. Sono cresciuto in un paesino dove era tutto casa, chiesa, scuola e campagna. Sono cresciuto con questi elementi straordinari e non me ne sono mai allontanato. C’è stato un periodo in cui ho avuto un piccolo diverbio… Ma poi ho capito quanto fosse importante stare in pace con Dio. Ogni sera e ogni mattino rivolgo la mia preghiera a lui.

Per il Sanremo di Carlo Conti ha pronti due brani pronti: uno alla “Al Bano” e uno più grintoso.  Ci andrà, si sa già qualcosa? Manca poco…

Il tema è: Albano ci vuole andare! Ma vediamo cosa decide la direzione del festival. Il mio dovere l’ho fatto.

Qual è la canzone del repertorio della musica italiana e una americana che avrebbe voluto scrivere e perché?

Di americane ce ne sono tante. My way mi fa impazzire, ma anche Georgia on my mind: è perfetta. Dalla A alla Z non c’è nessuna sbavatura, nessun neo. In America sono state fatte canzoni bellissime e in Italia è la stessa cosa. Poi noi abbiamo avuto i vari Verdi, Puccini, Mascagni che hanno lasciato pagine di musica che cantarle è una gioia infinita.

Al Bano va ringraziato per vari motivi, ma soprattutto per avere animato e illuminato con il suo “sole dentro” i palcoscenici di tutto il mondo senza mai dimenticare le sue origini e la Puglia…

E’ la pura verità. Qui ci ritorno sempre.

Ma qual è un sogno nel cassetto di Al Bano?

Eh… se si avvererà te lo dirò