Il blue monday è alle spalle. Ma una giovane professionista si ispira al lunedì più triste dell’anno per scrivere la sua “Breve storia triste”, ma che a differenza del famoso giorno triste, non passerà in 24 ore. Una storia scritta di pancia sul suo profilo Facebook al fine di stimolare una riflessione su un tema a lei caro.
Il sogno della casa di proprietà
La storia di Giorgia, nome di fantasia, prende forma tra i vicoli di Bari vecchia. La città di Lolita, la città trendy, quella del lungomare, della focaccia, delle orecchiette di Nunzia che a New York ha preso gli americani per la gola. Quella dove tutti vorrebbero vivere. Quella dell’Antonio nazionale, Cassano, e Decaro, il sindaco più amato d’Italia.
Scrive Giorgia la sua “breve storia triste” che fa un baffo ai blasonati scrittori del Sud: accorata, ma ficcante e quasi avvincente. Una storia che si legge tutta d’un fiato: “Oggi, per la prima volta nella mia vita, ho presentato una proposta d’acquisto per la mia prima casa, alla veneranda età di (quasi, eh) 33 anni. Sono andata da sola in agenzia, dopo aver dato il tormento ai miei cari colleghi, negli ultimi giorni, e a qualche parente, per definire la strategia vincente.
Ho scelto un piccolo immobile, alla mia portata, rispondente alle mie esigenze, vicino ai miei luoghi di lavoro. Nessun castello della Loira, insomma, ma quello più “giusto” per me, da cui poter partire.
Dopo anni di studi – che sto ancora ultimando – e sacrifici – che non ve li sto “neanche a dire” – da sola, sono andata a firmare la proposta, fiera della persona che sono diventata, nonostante io abbia scelto di non seguire corsi di studio blasonati all’estero, fatto esperienze di lavoro nel nord Italia, e preferito restare qui, a Bari, la città che io amo da sempre. Da sempre, e per sempre. Perché io non sono brava con gli amori “in presenza”, figuriamoci con quelli “a distanza”.
Ho un unico grande sogno da quando più o meno ho fatto la prima comunione – prevedendo forse che avrei dovuto pregare tanto per realizzarlo – ovvero: comprare casa.
Non ricordo di aver avuto altri sogni particolari nella vita, se non arredare il mio angolo di cielo, motivo per cui ad un certo punto della mia crescita formativa avevo anche pensato di intraprendere gli studi di design per interni.
La casa è pace, sicurezza, intimità e personalità, e io ho sempre creduto di poter realizzare il mio personale progetto di vita nella mia città, di cui mi innamoro ancora ogni giorno.
Eppure, vi starete chiedendo cosa renda questa storia triste, a questo punto della vicenda.
Sembra che a Bari, come in altre città prima, sia arrivato il culto dell’asservimento turistico, finalizzato solo alla predazione delle maggiori risorse economiche nel minor tempo possibile.
Triste, a mio avviso, appunto.
E dunque, ogni casa che io possa permettermi di acquistare – da sola – sembra già destinata ad un uso specifico: ospitare i turisti che arrivano in città.
I turisti sono sempre ben graditi qui a Bari, beninteso. Lo sappiamo: San Nicola è amante dei forestieri. Eppure mi chiedo, lo sarebbe anche a spese dei suoi cari devoti? Della perdita del tessuto sociale e relazionale cittadino, e della progressiva espulsione dei residenti dal centro storico a causa di un mercato immobiliare rivolto quasi esclusivamente alle affittanze turistiche?
Oggi, in agenzia, per quella stessa piccola casa microscopica, ma per me angolo di paradiso e di conquiste personali, diverse persone hanno presentato una proposta di acquisto.
Di tutte queste – non poche, mi è sembrato di capire – la mia era l’unica per “uso personale”.
Ora, comprendo bene che il mercato funzioni in un certo modo, che gli affari sono affari, e chi ha possibilità di investire possa farlo in serenità, non essendo l’acquisto di una casa a scopi ricettivi un reato. Non è questo il punto.
Eppure, mi interrogo sul valore che noi stiamo dando ai nostri territori con questa politica dell’ospitalità a tutti i costi, anche a costo di perdere quei cittadini che si vedranno costretti ad abbandonare il campo per mancanza di piccoli immobili e possibilità abitativa. Gli unici, tra l’altro, accessibili ai giovani che vogliono acquistare, senza poter disporre di chissà quale sostegno economico e familiare.
Mentre a cena guardavo un servizio al tg sui continui flussi turistici a Venezia mi chiedevo quale sia la nostra idea di città del futuro.
Quella in cui avremo più turisti e meno residenti?
Ha senso dunque parlare di tradizioni, storie, comunità, se poi siamo solo in grado di promuovere un modello turistico che non tiene conto dell’identità culturale e della presenza storica delle persone che hanno vissuto quei territori per una vita? È ricambio generazionale anche quello?
Io ho sempre sognato di vivere nella parte vecchia della città, che è il luogo dove più o meno sono cresciuta, grazie a mia madre e alla presenza dei miei nonni, tra quei vicoli a me tanto cari.
Ancora oggi, porto avanti con orgoglio il ricordo di mia nonna, donna dal forte temperamento, disseminando le sue perle di saggezza a chiunque si imbatta sul mio cammino.
Non c’è giorno della mia vita in cui io non abbia speso parole belle per lei, e per quella memoria storica della città che mi ha regalato attraverso i suoi occhi e i racconti di mia madre.
Mi avrebbe resa infinitamente orgogliosa portare avanti un pezzo del suo racconto, vivendolo in prima persona, con i miei occhi, in quei luoghi. Eppure, non sembra sia possibile, perché quei luoghi ormai servono solo a “raccogliere” (o accogliere?) turisti, in questo processo di “turistizzazione” che sembra inarrestabile.
E mi chiedo cosa accadrà quando tutte le nonne, come la mia, non ci saranno più?
Perderemo un pezzo della nostra identità, della nostra storia? È triste anche questo, credo.
Concludo questo romanzo di “tristezza” sapendo già che, tra le numerose proposte d’acquisto presentate, la mia non sarà certamente accettata.
Avrà la meglio chi sarà in grado di rialzare il prezzo, convinto di “recuperare l’investimento con estrema facilità”, espressione ormai ricorrente degli agenti immobiliari, che a me fa partire un principio di orticaria.
Tuttavia, quando io ho firmato la proposta, travolta da un’ondata di profonda delusione mista a rabbia, ho pregato l’agente di riferire al proprietario che la mia era una proposta “romantica”, non solo economica.
Quella di una persona che ha voglia di prendersi cura di uno spazio e di “abitare”, ancora, i luoghi della città.
Gli ho detto “puntiamo sul romanticismo!”.
Il tema è che il romanticismo ormai è da “sfigati”, ahimè, e non fa gola a nessuno”.
Quale futuro per Bari e le città turistiche?
La storia di Giorgia deve fare riflettere. E tanto. E’ questo futuro che vogliamo per le irresistibili città di mare o d’arte? Vogliamo davvero stravolgere l’essenza dei centri storici?
La storia di Bari comincia a cambiare con i Giochi del Mediterraneo del ’97. Il Piano Urban è stato determinate per la riqualificazione di Bari vecchia dove nessuno, fino agli anni ’90, si sognava di entrare; quartiere generale degli affari di una nota famiglia non certo per merito di nobili natali.
Gli anni Duemila vedono la nascita di Pane e Pomodoro, la prima spiaggia libera della città a ridosso del quartiere Japigia, e poi quella di Torre Quetta bonificata dall’amianto della vicina Fibronit, azienda specializzata nella produzione di manufatti contenenti amianto appunto.
Bari finisce sulle cronache nazionali per l’abbattimento di Punta Perotti, un innovativo progetto di edilizia residenziale che ad ambientalisti, e non solo a loro, non piace perché forma una “saracinesca” in muratura che spezza la linea dell’orizzonte verso San Giorgio provenendo dal centro cittadino. Un ecomostro, insomma.
Bari cambia a vista d’occhio anno dopo anno. Chiedersi oggi cosa abbia favorito la sua popolarità è una impresa ardua a causa dell’imbarazzo della scelta.
Dal 2005 in poi, grazie alla Giunta Vendola, la Puglia smette di dipendere dal monopolio della compagnia di bandiera. Le low cost cominciano ad atterrare a Bari e la Puglia può mostrarsi ai turisti in tutta la sua bellezza.
Nel frattempo l’economia mondiale aveva già subito una profonda trasformazione con l’attentato dell’11 settembre. E dopo l’euforia degli anni ’80 le famiglie diventano progressivamente più povere. C’è chi vende le seconde case per permettere ai figli di proseguire gli studi all’Università, chi le mette a reddito.
Anche in Italia si aprono i primi B&B, una forma di accoglienza importata da Regno Unito e Irlanda. E da qui in poi nascono tante tipologie di strutture extralberghiere. Ma nasce e prolifera anche il fenomeno dell’abusivismo. Sono quelli che hanno imparato a lasciare le chiavi delle seconde case in cassette blindate all’esterno dei portoni scegliendo di rimanere invisibili al fisco e ai turisti che non incontreranno mai neanche al momento del check in. Turisti che soggiorneranno in quegli immobili per un massimo di 5 giorni; permanenza scandita dai voli di rientro delle compagnie low cost.
Bari oggi è bellissima. Si fa fatica a ricordare come era. Ma come sarà in futuro? Ci sono lavori già in corso che renderanno ancora più bello il tratto del lungomare vicino alla basilica di San Nicola. E poi ci sono palazzi di nuova generazione e anche Bari avrà il suo bosco verticale e una passeggiata simile all’High line newyorkese.
A questo punto vale la pena rileggere a Giorgia: “Ho sempre sognato di vivere nella parte vecchia della città, che è il luogo dove più o meno sono cresciuta, grazie a mia madre e alla presenza dei miei nonni, tra quei vicoli a me tanto cari… Mi avrebbe resa infinitamente orgogliosa portare avanti un pezzo del suo racconto, vivendolo in prima persona, con i miei occhi, in quei luoghi. Eppure, non sembra sia possibile, perché quei luoghi ormai servono solo a “raccogliere” (o accogliere?) turisti, in questo processo di “turistizzazione” che sembra inarrestabile. E mi chiedo cosa accadrà quando tutte le nonne, come la mia, non ci saranno più?”
Già, cosa sarà? … “Che ti fa uscire di tasca dei “no, non ci sto“?