Istanbul, Turkey
Marzo 2013
di Claudio Ciardi
Istanbul, la mia prima super-città non capitale, arriva quasi improvvisamente. In quel preciso momento, mi trovavo a dover scegliere tra diverse altre capitali molto appetibili.
Ma un bel giorno, una mia amica mi parlò in termini entusiastici della perla del Bosforo, al punto che, dopo varie ricerche e dopo una visione accurata di alcune foto sul web, fui convinto. Next destination: Istanbul.
La cosa che più mi intrigava della città turca, era il fatto di poter finalmente vedere da vicino la città europea più orientale. O la città orientale più europea. Insomma, quel mix tra Oriente e Occidente quasi perfetto. Quel mondo un po’ distante dal nostro continente. Ma anche così vicino. Quelle tradizioni un po’ lontane da quelle del mondo dell’Ovest. A partire dal classico the alla mela. Il sostituto perfetto del nostro caffè. Ma l’usanza è ovviamente abitudine. E bastano 5 giorni per esserne un frequentatore abitudinario. Tra l’altro anche niente male. Il the alla mela te lo offrono in ogni occasione. Eh sì, perché i turchi sono molto generosi, simpatici, approccevoli (scusate il neologismo…). E non c’è situazione quotidiana che non preveda un the alla mela. Se te lo offrono, non rifiutare. Mai. A parte che insisterebbero fino allo svenimento. Ma poi, potrebbero offendersi!
Insomma, 5 giorni per accorgersi della bontà del popolo. Molto alla mano. Può capitare anche l’ambo, eh! Oltre al the, potrebbero offrirti un Baklava, un dolce tipico turco, zuccherosissimo con qualche innesto di frutta secca ed una spolverata di pistacchi.
Una piccola bombetta da smaltire (perché no?) salendo sulla Torre di Galata, dove, verso il tramonto, si può assistere ad una delle viste più spettacolari di Istanbul, avvolti da centinaia di versi di gabbiani e da cieli caldi, accoglienti.
Il mix tra le due culture, si respira un po’ ovunque ed è anche normale, visto che, basta poco per affacciarsi in Asia. Istanbul è effettivamente su due continenti diversi. E già anche solo questa cosa è molto particolare. Prendere un battello e cambiare continente. Impiego più tempo ad andare dal soggiorno al bagno, probabilmente…
Ma vabbè.
L’atmosfera orientaleggiante, la si può assaporare in uno dei luoghi più fighi di Istanbul: il Gran Bazaar. Un mercato al coperto di 200.000 metri quadri, colmo di botteghe di ogni tipo, dal quale, non riuscirai mai ad uscirne! Si, non è un normale mercato. E’ un vero e proprio labirinto! Proprio per questo ci sono diverse uscite e non riuscirai mai ad uscire da dove sei entrato. Ma una volta entrati dentro, si può capire un po’ quello che dicevo poc’anzi.
Un labirinto ricco di colori, profumi, spezie, oro, argento, tappeti, maioliche, lampade e quant’altro. Il tutto in spazi concentrati. Eh…occhio! I venditori, non sono semplici venditori. Sono dei buttadentro allucinanti! Non ti molleranno mai. E sarà cosi dappertutto. Puoi fingere di esser sordo, puoi finger di esser islandese. Puoi fingere di fingere. Ma loro, ti chiameranno, ti prenderanno, ti porteranno nel loro negozietto. E ti venderanno qualcosa. Sempre.
L’altra suggestione che ricordo molto bene di Istanbul, è l’odore. L’odore talvolta ricorrente, talvolta meno. L’odore di cibo di strada. O quello del melograno (ma il melograno, ha realmente un odore? Bah…). Eh sì, perchè c’è un venditore di spremute di arance o melograno in ogni angolo. E poi ci sono i kebabbari. Ovunque. Ma…
Ma…Istanbul, la Istanbul orientale, a me emana reminiscenze speziate. Ed infatti, non si può ignorare il Bazaar delle spezie. Un altro mercato al coperto (decisamente più piccolo del Gran Bazaar), dedicato solo alle spezie. Di ogni tipo. Esattamente qui, mi innamorai della curcuma. Una vera e propria storia d’amore che resiste ancora oggi.
Ogni passo, è un’inalata multicolore tra mille polveri ed erbe diverse. Una spassosa esperienza olfattiva.
Ma per me (e dico per me), la città turca è anche Sultanahmet, il cuore e centro storico di Istanbul. Zona strategica, tra l’altro. Da una parte Aya Sofya e dall’altra la Moschea Blu.
Certo. Perché qui ci sono più moschee che venditori di kebab. No, beh…se la giocano, quasi. Ma camminando per la città, mi sono reso conto di quanti minareti mi circondassero continuamente.
E la moschea è quell’altra “cosa” che ti allontana psicologicamente dall’Europa, dall’Italia. E ti senti più “in là”, rispetto casa tua e le tue tradizioni.
E ti sentirai ancora più lontano quando sentirai il richiamo del Muezzin. La prima volta può sembrare inquietante, ma poi ti ci abitui. Ed in 5 giorni, ti ci abitui di certo. E saranno abituati anche i fedeli, obbligati a pregare al suo “canto”.
Insomma, in 5 giorni, mi sono abituato a tante cose, in Turchia. Ma l’unica cosa alla quale non sono sempre abituato, è la bellezza che ho potuto ammirare in un determinato momento della giornata. Quello del tramonto, in un piccolo battello sul Bosforo. Una navigata economicissima (presto spiegato: per salire sul mezzo, dovevi fare un salto di circa un metro e mezzo. Senza alcun sostegno. Già, credo che in Turchia non sappiano cosa sia la 626; una volta saliti, l’impressione era di stare sulle montagne russe. Una stabilità eccezionale, al punto che ho pensato di dover fare in fretta e furia testamento; il momento più delicato è stato il classico thè alla mela: l’impresa era berne almeno un sorso senza che gli ondeggiamenti te lo facessero rovesciare completamente), ma suggestiva. Ad un tratto, spunta davanti a me Kiz Kulesi, la cosiddetta Torre di Leandro. In mezzo all’acqua. Bellissima. Il cielo è magistrale. A coronare il tutto, stormi di gabbiani, quasi in linea retta, quasi a creare una compo magica. Si, ho “stranamente” la reflex con me. Per contrastare le vibrazioni e il dondolio del traghetto ho solo una soluzione: fare un centinaio di scatti. Prima o poi, uno si salverà.
Ed uno si salvò.