Realtà e immaginazione si intrecciano nella polvere del deserto di Atacama in Cile e regalano agli spettatori del Bif&st un film brillante: La contadora de peliculas.
Uno dei luoghi più aridi del pianeta situato nel Nord del Cile tra le Ande e l’Oceano Pacifico è lo sfondo perfetto per una pellicola così raffinata e potente. Un luogo apocalittico che è meta di tanti turisti perché definita la ‘porta del cielo’. È uno dei luoghi privilegiati al mondo per l’osservazione astronomica grazie alla sua bassa umidità e per l’assenza di inquinamento luminoso. Amato da tanti sportivi, amanti del trekking in alta quota, del sandboarding sulle dune di sabbia e per gli appassionati di mountain bike.
“Il borgo minerario e la cittadina che fa da sfondo esistono veramente – ha detto Lone Scherfig, la regista del film – il direttore della fotografia ha vinto un premio negli Stati Uniti proprio per l’approccio visivo che questo luogo ha avuto nei confronti del film. Io credo che questo borgo può essere filmato una sola volta. È impossibile ritornare dopo 4 o 5 anni e ritrovare lo stesso sfondo”
Una sfida vinta contro un’aridità estrema. Non piove mai. Eppure affascina e la mancanza di umidità ha permesso di regalare al mondo resti archeologici di antiche civiltà precolombiane. Da visitare la Valle della Luna, che con le sue rocce al tramonto regala un’atmosfera aliena, quando il sole si tinge di rosso, simile a Marte. Tanti i contrasti cromatici da immortalare, come le lagune verdi, azzurre, rosse e bianche di ghiaccio o di sale. Le cime innevate in contrasto con il cielo terso. Lo zolfo che colora di giallo la terra scura.
In una miniera a cielo aperto si sviluppa quest’opera neorealista e surreale che ha incantato gli spettatori del Teatro Petruzzelli nella sezione internazionale del festival cinematografico barese. Ambientato negli anni Sessanta racconta la storia di Maria Margarita, la più giovane di quattro fratelli che insieme ai genitori vivono in questo borgo desolato. L’unico momento speciale della loro settimana è la domenica perché si va al cinema. Qui i genitori della ragazza capiscono che ha un dono speciale che è l’abilità straordinaria di raccontare i film. Un talento che guiderà e cambierà molte cose di questa famiglia “disfunzionale” come l’ha definita la regista danese in conferenza stampa.
“In qualche modo il film è la storia di una famiglia disfunzionale che poi si evolve nella seconda parte del film, portando alla storia di un Paese disfunzionale. Quindi la Madre patria disfunzionale”.
Il pubblico della contadora nel film è rappresentato dagli operai di salnitro, che in questi villaggi fantasma ma reali, hanno consumato le loro vite. Ombre ingobbite che alla vigilia del Golpe di Pinochet negli anni Sessanta e Settanta si aggiravano tra la polvere per rivendicare i loro diritti, mai ottenuti.
Tutto ruota intorno alla povertà, alle ingiustizie sociali, agli amori lacerati e perduti. La violenza e l’abbandono. Eppure fino alla fine Maria Margarita, la protagonista, indosserà l’immaginazione che riuscirà nella consapevolezza a renderla una donna libera, capace di scelte anticonvenzionali, senza mai tradire la sua terra e i suoi affetti.
“Io cercavo l’onestà, l’autenticità e quando pensavo ai momenti più belli a livello cinematografico che potessero fare da traiettoria verso questo film, mi veniva in mente il cinema italiano, la mia fonte d’ ispirazione – ha concluso la Scherfig”.