“Riapro subito gli alberghi”, titola l’edizione pugliese del “Corriere del Mezzogiorno” di domenica 19 aprile, ma ciò che in realtà ha in mente il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, è dare vita a un programma di più ampio respiro per fare ripartire il turismo. Ma sempre in Puglia, Federalberghi invita alla prudenza chiedendo un protocollo univoco per gestire l’accoglienza, redatto da tecnici e medici, che in sé contenga una immunità penale per quanti operano nel turismo.
C’è, infatti, ancora tanto da fare e la conferma viene dal presidente regionale di Federalberghi, Francesco Caizzi.
“Ho sentito il presidente Emiliano – dice Caizzi – ma quel titolo non interpreta la sua volontà perché gli alberghi, di fatto, non hanno mai chiuso. Siamo tra le poche attività rimaste aperte per rendere un servizio utile a quanti, per esempio, si spostano per ragioni di lavoro. Fatta questa premessa, il primo decreto governativo dava delle regole di ingaggio molto basiche per tutti, lasciando libera interpretazione nell’operare. Siamo aziende che si confrontano sulla sicurezza con i lavoratori, quindi la valutazione dei rischi per ciò che è di loro competenza, ma teniamo anche ai nostri clienti. Questo per dire che non è così semplice prepararsi per la stagione estiva”.
Una delle condizioni per ripartire è quella di garantire la sanificazione degli ambienti e la distanza sociale. Come vi state muovendo? Quali i protocolli?
“La Federalberghi ha richiesto, a livello nazionale e territoriale, l’istituzione di tavoli di confronto. La Regione si è adoperata e abbiamo già avuto un primo incontro con il professor Pieruigi Lopalco (l’immunologo consulente della Regione per la gestione dell’emergenza Covid19 in Puglia ndr.) che ritengo una persona capace di poter disciplinare i due aspetti principali che riguardano il comparto: da una parte l’economicità delle procedure di competenza delle aziende e dall’altra la sicurezza sanitaria. La prima cosa che dice Lopalco è che oggi non è possibile arrivare a un rischio zero. Se non partiamo da questo presupposto, non si può capire quali procedure possano essere messe in atto. Tantomeno si conosce l’evoluzione del virus, per esempio i tempi di sopravvivenza al di fuori del corpo umano. Non a caso, tutte le procedure di ozonizzazione che vengono utilizzate per tutte le altre procedure, virus, batteri e muffe, per sanificare gli ambienti, non sono certificate per il Covid19. Quindi, a oggi ci sono delle indicazioni, ma non la certezza matematica che producano i benefici attesi. Detto questo, dobbiamo comprendere se ci sono le condizioni per potere aprire e lavorare in sicurezza. Gli alberghi, le aziende, come pure ha detto Lopalco, non possono essere medicalizzate. Non siamo dei punti di pronto soccorso. Quindi, se non ci sono le condizioni per lavorare in una certa maniera, io per primo dico: è inutile aprire. Perché ci sono le cosiddette responsabilità civili e penali: se io non so come perimetrare il rischio nella mia azienda, potrebbe arrivare una persona che si ammala e dice che è successo nella struttura alberghiera, allora io sarei responsabile civilmente e penalmente”.
Ma questo va dimostrato. Il turista frequenta musei, bar, ristoranti, spiagge. Il contagio può avvenire ovunque
“Vero, ma noi abbiamo bisogno di un protocollo da seguire e operare come ospedale non sarebbe più conveniente. Si pensi a quanto tempo servirebbe per sanificare una stanza: macchina a ozono, pulizia tradizionale degli ambienti e ulteriore sanificazione. Dai tradizionali 20 minuti impiegati dal personale ai piani si arriverebbe a circa un’ora. Serve capire come sposare l’esigenza economica da una parte e quella sanitaria dall’altra. La mia idea è che si dia vita un protocollo minimo e che gli ospiti delle strutture alberghiere siano consapevoli che non esiste il ‘rischio zero’ a livello di contagio. Quindi, penso a un protocollo minimo in modo che al suo interno contenga, in maniera implicita, quasi una specie di immunità per chi fa accoglienza turistica; nella consapevolezza che si debba fare il massimo per garantire la salute del personale che opera nelle aziende e degli ospiti. Qui non ci confrontiamo con le cadute accidentali nelle aziende o con altre problematiche tipiche. Questo è un virus che produce morte, e come abbiamo visto, anche in questo caso gli avvocati sono stati pronti anche a denunciare i medici e le autorità sanitarie”.
Riguardo al distanziamento sociale, uno dei momenti del benessere è quello a tavola e al momento delle colazioni, Come ci si comporterà?
“Sono domande che mi sto ponendo io stesso. Un buon Negramaro con cosa lo servo? Nel bicchiere di plastica? E le pietanze? Torniamo alla necessità di avere un protocollo da seguire. Se qualcuno ci dice che mettendo piatti e bicchieri sotto le lampade UV lavoriamo in sicurezza, lo faremo. Quanto al distanziamento, è un altro problema. Nel primo decreto non ci sono riferimenti al nucleo familiare. Ma nei confronti dei due operai che condividono la stanza e sono in albergo per lavoro, come mi devo comportare? In quanti si deve salire in ascensore? Se noi andiamo a fare un protocollo così dettagliato, andremo a creare quello che la burocrazia vuole e che ha distrutto l’Italia: ci sarà un giudice che mi dirà ‘hai sbagliato’. Quindi ritengo si debba fare appello al buonsenso. Redigere un protocollo che contenga linee generali, ma che non sia di libera interpretazione; e torniamo alla necessità di avere una immunità a monte. Diversamente, quello che si mette in atto, potrebbe essere soggetto a libera interpretazione di giudici e avvocati. Quanto alla redazione del protocollo, ho chiesto che a fare parte della task force che se ne occuperà vengano invitati tecnici specializzati in procedure di igiene, pulizia e sanificazione, e non sono i medici. Ai tavoli di confronto non devono sedersi rappresentanti delle varie associazioni di categoria per avere la vetrina sui giornali, ma persone competenti per valutare la concreta fattibilità dell’eventuale decalogo da seguire”
Qualcuno suggerisce di favorire i self check in e di sostituire le vecchie chiavi con strumenti che limitino i contatti con il personale. E’ d’accordo?
“I check-in nascono con una legge degli anni ‘70 a seguito del sequestro Moro. Oggi servono per evitare che si lavori a nero e per incrociare i dati delle presenze in struttura con quelli fiscali. Io lo eliminerei, ma non riusciremmo a contenere gli affitti a nero. Quando ci lamentiamo che l’Europa non ci fornisce aiuto, prima di attribuire colpe ad altri dovremmo chiederci cosa noi facciamo per l’Italia”.
Approva l’idea del presidente della Regione Campania di chiudere i confini per evitare ulteriori contagi?
“Rispondo con le parole del Santo Padre: oltre alla pericolosità del virus, preoccupano le forme di egoismo che genera; il che non significa non seguire regole. Bensì, servono regole semplici e facili da applicare”.
Quali, secondo lei, sono i meccanismi virtuosi per favorire la ripresa dei flussi turistici?
“Sono contrario ai voucher per incentivare i viaggi in Puglia. Li ritengo forme di assistenzialismo. A mio parere produrranno sacche di inefficienza. Oggi cercherei di lavorare non sulla capacità di promozione, in questo momento significherebbe spendere soldi in maniera inefficace, ma di engagement: mantenere vivo il rapporto con i propri clienti. Come Federalberghi Puglia, avevamo dato indicazioni di lavorare sulla digitalizzazione dei nostri siti turistici e archeologici per metterli su una grande vetrina on line. Non per promuoverli, ma per far conoscere uno spazio territoriale da poter visitare fisicamente. In ogni caso, se non abbiamo certezza sanitaria, è impensabile riproporsi. Infine, in Puglia abbiamo un problema gigantesco: la distanza. Per noi è fondamentale l’accesso aereo. Bisognerà capire come si potrà volare in sicurezza e come rigenerare i flussi turistici, che tramite le compagnie low cost, abbiamo generato in Puglia”.