“Una linea storta tesa” in mostra fino al 6 agosto nella grande bellezza: Villa Medici, sul Colle Pincio a Roma, sopra la scalinata di Trinità dei Monti.
Una esposizione multidisciplinare per presentare i lavori dei borsisti dell’Accademia di Francia. Quest’anno sedici di loro insieme al curatore della mostra Saverio Verini, hanno dato vita a un cammino non sempre lineare, ma spesso composto da deviazioni, sorprese. Proprio come la loro esperienza di viaggio fatta di imprevisti e incontri che testimoniano la vitalità di un momento di formazione che resterà scolpito nella loro vita. Non un punto di arrivo il loro, ma un passaggio momentaneo tra oscillazioni e scoperte. Così l’argonauta visitatore si troverà immerso nella stessa atmosfera, rapito dalla grande bellezza del luogo in contrasto con le incisive rappresentazioni di rottura degli artisti. Nella diversità delle singole scelte e performance, una linea apocalittica li unisce in una ricerca dell’essenziale perduto che l’uomo moderno continua ad affogare in un’agonia prolissa.
Il percorso inizia con una rosa dei venti che non orienterà, ma fornisce gli strumenti senza limiti di decodifica. Poi lo sguardo è rapito dalle foto in bianco e nero della storica dell’arte Marion Grébert che mostra corpi intrecciati dando origine a forme ambigue e perturbanti. Sorprendente la restauratrice Hortense de Corneillan che scopre, durante la sua residenza, un frammento di un vaso a Palazzo Farnese che apparentemente sembra di epoca classica. Il reperto invece riporta un’iscrizione in greco francesizzato del menù di un pranzo celebrativo, tenutosi a Villa Medici nel 1946 tra i borsisti dell’École française e quelli dell’Accademia di Francia, per celebrare il loro ritorno a Roma dopo la guerra. Da questo frammento, la borsista ha articolato un racconto su più livelli che comprende non solo l’oggetto, ma anche un testo poetico scritto e recitato da Maxime Hortense Pascal per potenziarne il valore.
Altri sguardi ci conducono in una stanza in cui il tempo si annulla. La borsista Lorraine de Sagazan lo ha chiamato “Monte di Pietà”, una collezione di oggetti che hanno rappresentato per tanti il feticcio di un trauma, memoria suggellata.
Una zona di sperimentazione la occupa in questo vernissage il borsista Théo Mercier, scultore e regista, che con Bad timing ha cercato in un’atmosfera di tensione di ridare vita a oggetti abbandonati in una discarica. In mostra dal 10 giugno al 25 settembre, con due performance il 9 e il 10 settembre, ha trasformato in spazio espositivo l’antica cisterna di Villa Medici rendendola una stanza dei segreti o di rimpianti post-industriali. Al centro la statua di un giovane Narciso, malinconico in chiaroscuro, in mezzo a un accumulo di elettrodomestici alla deriva per invitarci a riflettere su ciò che è perduto. Nella loggia all’esterno della villa, l’artista ha disposto una serie di dieci sedie fuse in bronzo, colpite da una pioggia di pietre. Ci spiega che una minaccia incandescente è probabilmente caduta dal cielo, senza che i mobili abbiano avuto il tempo di fuggire. Un’istallazione tragicomica che gioca sui paradossi, ciò che è morbido diventa duro, l’economico diventa prezioso, ciò che è in movimento diventa fisso.
Mercier conclude la sua esposizione nella Gypsoteca nel parco, una casina che è la sede di varie sculture classiche, dove padroneggia la statua di re Luigi XVIII di Francia. L’Accademia francese a Roma, infatti, fu fondata dai reali nel 1666 per volontà di Luigi XIV. L’artista in questa ultima parte del percorso ci presenta Catch of the night, in cui i volti e i corpi del passato sono stati legati da una rete di corde. A collaborare con lui un’altra artista, May Dosem, una praticante dello shibari, che lo applica alle icone del sito, esacerbando la loro natura omoerotica. Utilizzando la sua tecnica della corda, sposta l’attrito degli oggetti al centro del progetto di Théo Mercier su questioni di attaccamento, sottomissione, dominazione e consenso. Una metafora visiva sull’equilibrio del potere tra gli oggetti in cui si insinua il dubbio nell’uomo moderno se bisogna acconsentire al passato o resistere al suo peso.
Infine, sul piazzale della villa ad attirare l’attenzione degli ospiti cinque automobili rivolte verso terra con le ali aperte. “Iper uccelli” di carrozzeria che fanno sentire gli ultimi respiri di una radio desintonizzata, come una scatola nera. Anomalie cosmiche, sintomi metereologici che ritwittano il mito dell’Apocalisse occidentale in versione Post-industriale, forse già annunciata e avvenuta, secondo l’artista, nel 1784 quando James Watts brevettò la macchina a vapore con il primo deposito di carbonio nella crosta terrestre. Questa installazione parla di un mondo capovolto che cade su sé stesso, la sua radio codificata può essere ascoltata anche come musica di un tramonto sul rifiuto dell’ambiente.
La foto di copertina è stata fornita da Elisabetta Castiglioni – Press Office & Public Relations
Le immagini della mostra sono di Antonietta Pasanisi